CORTEO A TORINO

RESPINTO IL RICORSO DI ALFREDO

Il 24 febbraio la cassazione ha deciso di condannare a morte Alfredo rigettando il suo ricorso contro la sua detenzione in 41 bis.

Da questo momento Alfredo non assumerà più integratori ed altro, come già preannunciato. Attenderà la morte pur di non continuare a sopravvivere in quella “tomba per vivi” del 41 bis.

Una cosa certa è che tenteremo fino all’ultimo di salvare la sua vita.

Un’altra cosa ancor più certa è che continueremo imperterriti a percorrere la lotta per l’anarchia, quella lotta che Alfredo ha generosamente e coraggiosamente portato avanti e porterà avanti fino all’ultimo respiro.

Non dimenticandoci che uno dei passi fondamentali sarà l’abbattimento di ogni forma di carcere, il 41 bis in primis.

con amore e rabbia

per l’anarchia

 

 

 

 

 

Volantino distribuito a Lione

Il 24 febbraio è andata in scena a Lione l’ennesima puntata della vicenda di Vince. Davanti al tribunale oltre un centinaio di persone ha portato la propria solidarietà a Vince.

Questo processo di appello vedrà la sentenza il 24 marzo.

In attesa alleghiamo il volantino distribuito nell’occasione.

volantino 24 febbraio a Lione

LE POSSIBILITÀ DELLA LOTTA E L’ESSENZA POLITICA DELLA LEGGE

DUE LOTTE, UNA STESSA DATA E ALTRE ANALOGIE

È indubbio che solo la lotta apre delle possibilità. Anche solo di resistenza.

Per il 24 di febbraio sono attese le decisioni di due corti di giustizia, entrambe molto rilevanti.

La prima è attesa in Francia, dove, dopo tre anni di battaglie giudiziarie, la Corte di Appello di Lione dovrà decidere se consegnare Vincenzo Vecchi all’Italia dove deve scontare 12 anni per il reato di “devastazione e saccheggio” in base al Regio Decreto del 19 ottobre 1930, n. 1398.

La seconda è attesa in Italia, dove la Corte di Cassazione dovrà decidere se Alfredo Cospito, in sciopero della fame da oltre 4 mesi, debba rimanere segregato nel regime carcerario speciale applicato con l’art. 41 bis dell’Ordinamento Penitenziario, introdotto in via emergenziale nel 1992 e mai più abolito.

La rilevanza di queste decisioni è dimostrata anche dalla difficoltà del quadro istituzionale ad assumersi la responsabilità ultima delle scelte in gioco.

In Francia si tratta di prendere la decisione definitiva attorno ad un caso di rilievo internazionale che chiama in causa il funzionamento della giustizia europea.

In effetti la  Corte di Lione  potrà confermare i precedenti pronunciamenti che avevano bocciato come irricevibile la richiesta di estradare  in Italia  Vincenzo Vecchi per un reato inesistente in Francia, o al contrario potrà decidere di applicare il principio del “mutuo riconoscimento”[1], allineandosi alle indicazioni ricevute recentemente dalla Corte di Giustizia europea.

In questo caso la Francia  accetterebbe di approvare sul proprio territorio un mandato d’arresto fondato su un articolo di legge di forte connotazione fascista, la “devastazione e saccheggio”, senza paragoni nel codice penale francese e probabilmente in quello di nessuno degli altri paesi europei, ideato nel 1930 da Alfredo Rocco, Ministro della Giustizia del governo Mussolini, che la considerava orgogliosamente legge “fascistissima” e “contraria ai diritti dell’uomo”, poi riesumata dalle procure italiane a cavallo degli anni duemila per colpire il pericolo pubblico del momento: il black block.

Accordare questa “estradizione” significherebbe avvallare a livello europeo la minaccia di leggi di origine fascista che non dovrebbero trovare approvazione automatica fuori dai nostri confini.

Accordare questa “estradizione” significherebbe per la Francia abdicare alla possibilità di rifiutare un mandato d’arresto persecutorio anche quando non è rispettata la “doppia incriminazione”[2].

Tutto questo avrebbe conseguenze per tutti, oltre ad impattare nuovamente sulla vita di Vincenzo, già condizionata da tanti anni di esilio e latitanza, peraltro consegnandola nelle mani di un governo in aperta continuità ideologica con quella tradizione politica autoritaria.

In Italia la decisione è se mantenere Alfredo nel regime di isolamento totale del 41 bis o se trasferirlo in una sezione di Alta Sicurezza.

Per come le cose si sono evolute in questi quasi quattro mesi di sciopero della fame, la decisione è anche più brutale: se la revoca del 41 bis decreterebbe l’immediata fine dello sciopero, la scelta di confermare questo trattamento di tortura comporterebbe al contrario la morte di Alfredo. Questo perché è oramai chiaro a tutti quanto Alfredo sia deciso a proseguire la sua lotta fino all’ultimo respiro.

Le due vicende, oggettivamente molto diverse, presentano tra loro alcune analogie:

  • Entrambe mostrano l’esistenza di norme di carattere eccezionale, nate in contesti emergenziali e quindi di natura temporanea, che assumono nel tempo valenza ordinaria.

Il discorso vale per una legge come la “devastazione e saccheggio” – ideata sotto il fascismo e interiorizzata dalla giurisprudenza successiva – e vale per il 41 bis – ideato dopo le stragi del 1992 e prorogato per trent’anni fino ad incastonarsi nell’ordinamento penitenziario.

Queste “eccezioni creatrici di norma” mettono a nudo l’arbitrarietà del diritto che si autosospende per alcune speciali categorie di persone creando una penalità parallela dove quasi tutto è permesso.

È evidente come questo “diritto penale del nemico” stia scavando fosse punitive che non si sa quanto profonde possano diventare nel tempo e a quante e quali persone possano essere destinate.

  • In entrambi i casi il possibile ha superato il probabile, perché la lotta ha spinto gli eventi più in là di quello che era immaginabile in principio.

Nel caso di Vincenzo, quella che poteva essere solo una brutta grana giudiziaria, da affrontare in solitudine per tramite di una sbrigativa procedura ordinaria, è stata trasformata in una questione di libertà collettiva che oggi inchioda la Francia al bivio e svela gli spietati automatismi falsamente apolitici della giustizia europea.

Nel caso di Alfredo, quando quattro mesi fa iniziava il suo sciopero, in pochi si sarebbero aspettati di ritrovarsi ancora qui dopo oltre 120 giorni, con Alfredo vivo e una lotta ancora aperta, deflagrata nel quadro istituzionale tanto in profondità da fessurare il pozzo più buio dello Stato: quelle sezioni di “carcere duro” dove i “buoni” torturano i ”cattivi” con l’approvazione della propria stessa legge.

  • In entrambi i casi la determinata caparbietà di una lotta di resistenza ha semplificato la realtà, l’ha resa più comprensibile, ha mostrato come dietro ai grovigli della burocrazia tecnico-giuridica si cela sempre una scelta di natura sostanzialmente politica.
  • In entrambi i casi è, infine, chiaro a tutti come la solidarietà non sia una semplice attività di testimonianza, ma un’arma per allargare il ventaglio delle possibilità in campo, per costringere la realtà a manifestarsi, anche nella sua cruda e feroce nudità, senza attenderla passivamente, e senza mai rinunciare alla possibilità di resistere, nonostante le difficoltà e le contraddizioni di ogni battaglia, il cui esito non è mai scontato fino alla fine.

Per questo il 24 di febbraio saremo a Lione per sostenere Vincenzo in questa udienza cruciale.

Lo faremo pensando anche a quanto in Italia si decide in merito allo sciopero di Alfredo.

Lo faremo perché siamo convinti che oggi più di ieri la solidarietà deve essere in grado di superare le nazioni e i confini per essere all’altezza della gravità del momento.

Consideriamo importante dare un segnale di presenza internazionale e internazionalista in questa data, nonostante lo sforzo che comporta.

Invitiamo tutti ad aiutarci a dare forza e concretezza a questo segnale.

Assemblea di sostegno a Vincenzo                                                       www.sosteniamovincenzo.org/

[1]      Il “mutuo riconoscimento” applicato in campo commerciale implica una fiducia reciproca tra stati che permette di deregolamentare la circolazione di merci fabbricate sul territorio europeo in quanto certamente “buone” perché già vagliate dalle autorità nazionali.  Applicato in materia di giustizia comporta che gli Stati europei si impegnano a riconoscere le sentenze emesse negli altri Stati dell’unione come certamente “giuste” permettendo lo scambio in automatico di ricercati e prigionieri come fossero pacchi da smistare.
[2]      La “doppia incriminazione” – cioè la corrispondenza di reato tra codice penale del paese che emette il mandato d’arresto e leggi del paese ospitante –  è una delle pochissime condizioni sopravvissute dai passati accordi in materia di estradizione che ancora oggi – quando non rispettata –  permette la non esecuzione di un mandato d’arresto europeo.

 

LA PATRIA DI BECCARIA? UNA PATRIA DI BECCHINI

LA PATRIA DI BECCARIA?
UNA PATRIA DI BECCHINI

In tanti vogliono il morto ma nessuno si assume la responsabilità di vestire i panni del boia. In compenso sono tanti i becchini pronti a gettar palate di fango per preparare la fossa all’anarchico. Un balletto sguaiato e scomposto attorno ad una forca: “tolleranza zero”, scaricabarile istituzionale, cambi di rotta a seconda dell’audience, lo spettro dell’anarchia che tiene “sotto scacco” il governo, anzi lo Stato, pardon, e poi gli anarchici “stragisti” collusi con i mafiosi stragisti, con la comparsata del PD.

Un teatro mal scritto e mal recitato, un arrabattarsi di “esperti” ignoranti, mentitori professionali e compulsivi, basso giornalismo, ignavia e vigliaccheria che non fa altro che rivelare quella che è la potenzialità di un individuo che intraprende da solo una lotta contro il moloch statale. Un moloch tra l’altro che i suoi stessi costruttori dichiarano ben fragile se bastano scritte sul muro, vetrine rotte e qualche auto bruciata a metterlo in “pericolo”.

Da ogni lato da cui la si guardi, la lotta di un anarchico trovatosi scaraventato in un regime di tortura ha spezzato la narrazione imperante. Nonostante il ridicolo tentativo di accreditarlo come colluso (o, ancor peggio, diretto…) dalla mafia, nonostante il ridicolo tentativo di travisarne atti e parole, sembra che un po’ di senso critico prevalga ed il tentativo di minarne credibilità ed integrità ottiene l’effetto inverso di far emergere la coerenza lineare di antiautoritari e rivoluzionari che difendono e continuano a difendere idee e pratiche, senza farsi distrarre dai fuochi d’artificio della politica mediatica post-moderna. E si uniscono dove la repressione vorrebbe dividere.

Se si sposta l’attenzione dalla cortina fumogena che è stata sollevata, costringendo così a rispondere a castronerie di bassa lega, basterebbe appellarsi ai cardini del pensiero antiautoritario: parlare di una saldatura tra anarchici e mafia (e del suo corollario che l’antagonismo di piazza sostenga i “mafiosi”) è un ossimoro così come lo sarebbe parlare di una saldatura tra anarchici e Stato per chi, casomai qualcuno l’avesse dimenticato, del rifiuto della delega politica ha fatto da sempre un baluardo contro le derive rappresentative ed il mercato che vi è sotteso. Così come opporsi al carcere ed alla tortura non significa santificare quanti vi stanno dentro, spesso manovalanza asservita (e/o applicante pure) le stesse dinamiche politiche ed autoritarie.

L’anarchismo ha la colpa di esser stato spazzato via e maltrattato dalla storiografia ufficiale o fagocitato nel vortice di quell’analfabetismo culturale tipico dell’incultura digitale del 21° secolo, eppure il suo contributo allo sviluppo delle tensioni e del cammino rivoluzionario degli ultimi due secoli è stato fondamentale, benché spesso sovraesposto al rischio di strumentalizzazioni, epurazioni interne o autodissoltosi, incapace di far fruttare i risultati ottenuti a lungo termine.

L’anarchismo ha però il pregio di essere una mala pianta, tenace e difficile da estirpare, che ricaccia più potente se si cerca di eliminarla. È quello che stiamo vivendo. La capacità mercuriale di unirsi e dividersi, la fluidità e l’imprevedibilità hanno fatto sì che ci sia stata la capacità di sollevare una delle questioni più spinose, censurate e travisate: carcere e regimi di tortura.

Tanto ci sarebbe da discuterne, nell’immediato e in prospettiva. Ora c’è un uomo da sostenere, fino in fondo, visto che sulla sua pelle stanno giocando in troppi, senza ritegno.

Anna
05/02/2023

Aggiornamenti su Alfredo

 

SULLE REALI CONDIZIONI FISICHE DI ALFREDO COSPITO E SULLA SUA LOTTA

Vogliamo con questo scritto parlare delle reali condizioni fisiche di Alfredo, dato che in questi giorni i pennivendoli di regime stanno scrivendo tutto e il contrario di tutto, senza per altro mai riuscire a dire qualcosa di vero.

Dopo che è stata silenziata la dottoressa di fiducia che lo ha seguito durante la permanenza al carcere di Bancali, dopo il trasferimento a Milano, il nuovo medico di parte ha potuto visitarlo soltanto due settimane dopo il suo arrivo al carcere di Opera. Per di più, nonostante il drastico peggioramento delle condizioni di Alfredo (è stato trasferito sabato 11 all’ospedale San Paolo) potrà vederlo nuovamente solo sabato prossimo. Mentre giornali e tv millantano merende con yogurt e biscotti la drammatica verità è un’altra: riportiamo perciò quanto sta girando su canali non istituzionali o mass-mediatici.

Aggiornamento sulle condizioni di salute di Alfredo Cospito al 119° giorno di sciopero della fame ad oltranza (15 febbraio 2023)

In queste ultime settimane è in corso una campagna mass-mediatica di calunnia e denigrazione nei confronti del compagno anarchico Alfredo Cospito. Svariate testate giornalistiche hanno dato parecchio risalto al fatto che il compagno negli ultimi giorni avesse ricominciato ad assumere degli integratori e che avesse mangiato degli yogurt. La notizia di oggi è che il corpo di Alfredo, ormai dopo troppi giorni di sciopero della fame, ha rigettato sia questi due yogurt che gli integratori: ciò che sta al momento assumendo è unicamente zucchero, sale e potassio. Si tratta di una notizia drammatica sia per quanto riguarda la possibilità del compagno di poter arrivare vivo al 24 febbraio (giorno in cui si terrà alla cassazione l’udienza per il ricorso contro l’ordinanza del tribunale di sorveglianza di Roma che ha confermato la detenzione in 41 bis), che per quanto concerne la capacità di riprendere ad alimentarsi a seguito di una eventuale revoca del provvedimento di 41 bis.

La lotta di Alfredo in questi mesi ha svegliato chi, per anni, non si è accorto di quello che avveniva nelle segrete di stato del 41 bis. Anche solo per questo non possiamo che ringraziarlo della sua indomita passione per la libertà. Alfredo è un compagno anarchico rivoluzionario, che ha deciso, dal 20 ottobre 2022, di intraprendere uno sciopero della fame ad oltranza per la declassificazione dal 41 bis dopo aver vissuto sulla propria pelle l’orrore di questo regime. Ha intrapreso questa lotta innanzi tutto per sé stesso (scrive infatti “la vita non ha senso in questa tomba per vivi”); tuttavia, da anarchico, ha voluto anche portare la sua lotta personale sul piano politico, scoperchiando il vaso di Pandora di questa forma di tortura legale italiana a nome di tutti i detenuti nella sua stessa condizione.

Lo stato ha ampiamente sfruttato il controllo dei mezzi di comunicazione per tenere sotto controllo la situazione. Secretando la dichiarazione del 20 ottobre con cui Alfredo indiceva l’inizio dello sciopero della fame, ha impedito di sapere le motivazioni della lotta fino al 5 dicembre, giorno in cui Alfredo è riuscito a leggere un documento durante un processo in videoconferenza. Una volta che la lotta è uscita pubblicamente dalle quattro mura del carcere, lo stato ha tentato in ogni modo di delegittimarla, spingendosi fino all’infamante insinuazione di collusioni con la mafia. Innanzitutto non possiamo non ricordare che chi si accorda con la mafia, e la storia lo insegna, è lo Stato. In quanto anarchici il concetto stesso di mafia non può che farci rabbrividire. L’idea anarchica rifugge il concetto stesso di potere, denaro, gerarchia, anzi combatte tutto questo apertamente e senza mezze misure.

Da decenni ci si batte contro il 41 bis perché uno strumento di tortura non può essere accettato, a prescindere da chi vi sia rinchiuso. Deve essere rifiutato e combattuto sia in quanto tale che in quanto, come altri strumenti del dominio, da emergenziale tende sempre a stabilizzarsi e divenire la nuova normalità. Nato infatti in risposta alle stragi mafiose (o di stato?) del 1992, questo regime si sia allargato negli anni a diversi tipi di prigionieri.

La lotta di Alfredo è la nostra lotta, saremo sempre al suo fianco, sperando che gli enormi granelli di sabbia da lui messi negli ingranaggi del sistema carcerario diventino un giorno vera e propria frana, portando alla rovina questo sistema di dominio una volta per tutte.

FUORI ALFREDO DAL 41 BIS. FUORI TUTTI E TUTTE DAL 41 BIS

Centro di documentazione anarchico l’Arrotino

larrotino@inventati.org

https://leccoriot.noblogs.org/

Tutti a Lione

venerdì 10 febbraio all’arrotino

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