PROCESSO A LECCO

Si è svolto oggi, giovedì 1 febbraio, il processo in primo grado a 3 compagnx accusati di manifestazione non autorizzata per il presidio per Alfredo del 28 gennaio del 2023 a Lecco.
Due compagnx hanno colto quest’occasione per leggere due dichiarazioni spontanee al processo, per ribadire la solidarietà ad Alfredo e a tutti i detenuti rinchiusi nel regime di 41 bis.
Abbiamo voluto in questo modo rilanciare la lotta contro il carcere e il 41 bis anche nelle loro aule, anche grazie alla folta presenza in aula.
Il processo si è concluso con tre assoluzioni!
Alleghiamo le due dichiarazioni.

DICHIARAZIONI:

Oggi sono qui, accusata di essere fra i promotori di una manifestazione non autorizzata in solidarietà al compagno anarchico Alfredo Cospito avvenuta il 28 gennaio 2023 a Lecco.
In quel momento Alfredo era in sciopero della fame dal 20 ottobre 2022,contro il regime di 41 bis a cui era stato sottoposto dal maggio 2022.
Non mi compete e non mi interessa l’esito dell’accusa di cui sopra, mi preme invece affermare, oggi come allora, la mia solidarietà alla lotta di Alfredo contro il regime di tortura legalizzata in cui è tutt’ora rinchiuso.
In quell’occasione sono scesa in piazza, ho parlato e ho volantinato, come in molte altre occasioni, in altre città, in presidi e cortei.
Ho espresso la mia preoccupazione per la vita di Alfredo, trasferito due giorni dopo dalla sezione 41 bis del carcere di Bancali (SS) al reparto sanitario 41 bis del carcere di Opera (MI), a causa dell’aggravamento delle sue condizioni di salute.
Ho preso posizione contro il regime di detenzione in cui, lui e molti altri prigionieri, si trovano, un regime dove la vita è deprivata della vita stessa: ogni momento della giornata è regolamentato e monitorato dai carcerieri; si ha una sola ora d’aria al giorno dove la socialità è condivisa con altre massimo 3 persone scelte dal carcere; si possono tenere solo un massimo di 4 libri in cella e i giornali e la posta vengono censurati; non c’è possibilità di vedere il cielo, perché le finestre hanno le bocche di lupo, o di toccare un filo d’erba, perché il passeggio è in uno spazio angusto con alte mura e fitte grate sopra; si hanno i colloqui con i familiari solo per un’ora al mese, ma senza nessun contatto umano o affettivo, il vetro divisorio e il citofono impediscono abbracci o anche solo una carezza; per non parlare dello spazio in cui si trascorrono 23 ore della giornata, stanze di 3,5 m x 1,5 m, con branda, sedia, tavolino e wc, non c’è spazio per muoversi o camminare.
Di fronte a questa tortura della deprivazione sensoriale, psicologica, culturale e affettiva come non esporsi con la propria persona contro il regime di tortura del 41 bis?
Io oggi come ieri continuo a portare con la mia voce, i miei pensieri e le mie azioni questa lotta di giustizia sociale, in solidarietà ad Alfredo e a tutti coloro che ancora subiscono quel regime.
Oggi come ieri ripeto: fuori Alfredo dal 41 bis, fuori tutti/e dal 41 bis.

Maya

 

Voglio prendere parola in questo processo per continuare a contribuire al dibattito che lo sciopero della fame di Alfredo Cospito ha creato lo scorso anno, riportando anche in questi luoghi, come i tribunali, il discorso sui regimi carcerari di tortura che lo Stato italiano utilizza.

Per prima cosa voglio sottolineare che Alfredo si trova ancora oggi in quella mordacchia medievale del 41 bis, e il mio pensiero non può che andare a lui anche in questo momento.

Quindi, visto che mi si processa perché il 28 gennaio 2023 ho deciso di scendere in piazza a Lecco, insieme a decine di altre persone, per portare solidarietà e vicinanza ad Alfredo, allora già in sciopero della fame da oltre 100 giorni, e a quelle oltre 750 persone che vivono sulla propria pelle il regime di tortura del 41 bis, mi sembra giusto riportare anche in quest’aula ciò che ho detto da un megafono quel giorno in piazza.

Alfredo è un compagno anarchico rivoluzionario, che ha deciso, dal 20 ottobre 2022, di intraprendere uno sciopero della fame ad oltranza per la declassificazione dal 41 bis dopo aver vissuto sulla propria pelle l’orrore di questo regime. La sua lotta ha svegliato chi, per anni, non si è accorto di quello che avveniva nelle segrete di stato del 41 bis. Anche solo per questo non posso che ringraziarlo della sua indomita passione per la libertà. Ha intrapreso questa lotta innanzi tutto per sé stesso; tuttavia, da anarchico, ha voluto anche portare la sua lotta personale sul piano politico, scoperchiando il vaso di Pandora di questa forma di tortura legale italiana a nome di tutti i detenuti nella sua stessa condizione.

Ma cos’è il 41 bis?

Il 41 bis è un regime carcerario adottato nel 1992, come provvedimento temporaneo e di carattere emergenziale, a seguito delle stragi mafiose di quegli anni. Col tempo lo stato italiano lo ha risistemato a suo piacimento, ampliandone l’applicazione a molte categorie di prigionieri. Il 41 bis, caso forse unico nel mondo, è uno strumento di tortura decretato per legge. Il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, in accordo con la procura Antimafia e il Garante per i detenuti, regolamenta la vita delle prigioniere e dei prigionieri entrando in ogni istante della loro giornata; isolamento totale per 23 ore al giorno, 3-4 libri al massimo da tenere in cella, una sola ora di colloquio al mese solo con i familiari dietro un vetro divisorio e parlando con un citofono, censura della corrispondenza, divieto di ricevere informazioni sui propri interessi o sul proprio territorio addirittura dai quotidiani (gli articoli “non adatti” vengono ritagliati dalle guardie), e molto altro. Queste restrizioni nulla hanno a che fare con questioni di sicurezza: rappresentano invece delle vessazioni gratuite, la vendetta dello stato. In pratica si vuole seppellire vivo il prigioniero, annichilendolo e umiliandolo.

Contro tutto questo Alfredo ha lottato con l’unico mezzo che gli rimaneva, il proprio corpo.

Citando Alfredo:

“La mia lotta contro il 41 bis è una lotta individuale da anarchico, non faccio e non ricevo ricatti. Semplicemente non posso vivere in un regime disumano come quello del 41 bis, dove non posso leggere liberamente quello che voglio, libri, giornali, periodici anarchici, riviste d’arte e scientifiche e di letteratura e storia. L’unica possibilità che ho di uscire è quella di rinnegare la mia anarchia e vendermi qualcuno da mettere al posto mio. Un regime dove non posso avere alcun contatto umano, dove non posso più vedere o accarezzare un filo d’erba o abbracciare una persona cara. Un regime dove le foto dei tuoi genitori vengono sequestrate. Seppellito vivo in una tomba, in un luogo di morte. Porterò avanti la mia lotta fino alle estreme conseguenze, non per un “ricatto” ma perché questa non è vita.”

Per tutto questo, a prescindere da quello che si deciderà in questo processo, continuerò a portare le mie idee e la mia parola nelle strade e nelle piazze.

Per la liberazione di Alfredo Cospito

Per l’abbattimento del regime di tortura del 41 bis

Contro ogni galera

Michael

 

dichiarazioni processo a lecco PDF

13 gennaio CORTEO ANTIFA

Arrestato il nostro compagno Stecco

Il 20 ottobre è stato arrestato a Bordighera il nostro compagno Stecco. Era latitante da quasi due anni e il mandato di cattura era stato emesso nell’ambito del processo cd. “No name”, in cui è imputato per favoreggiamento alla latitanza di Juan e falsificazione di documenti.

Ora si trova nel carcere di Sanremo, ma ha già un cumulo di pena di oltre 5 anni in seguito a condanne per le lotte contro le frontiere e contro fascisti e leghisti vari

Con Stecco abbiamo condiviso anni di lotte, presentazioni di libri delle edizioni “El Rùsac” che aveva messo in piedi, serate all’Arrotino o camminate in montagna. Chiacchierando su Belgrado Pedrini o su Maria Nikiforova, passando le notti a difesa delle occupazioni o stando fianco a fianco in un corteo, vivendo concerti hardcore o passando ore in assemblee antimilitariste e molte altre cose.

Inutile dire che tutto questo lo Stato non lo potrà mai scalfire.

Saremo sempre complici e solidali con chi, davanti alla mannaia repressiva, sceglie o ha scelto in passato la via della latitanza.

In questi anni lo sperarlo in viaggio ci ha sempre dato forza, con la speranza che lui continuasse a percorrere quella strada per la libertà.

Il suo arresto non può che fare aumentare la voglia di continuare a lottare per un altro mondo possibile.

Con amore e tanta rabbia

Libertà per Stecco

Centro di documentazione anarchico l’Arrotino

 

Per scrivergli:

Luca Dolce

c/o Casa circondariale Sanremo

Strada Armea 144

18038 Sanremo

confermato il 41 bis ad Alfredo

Il tribunale di sorveglianza di Roma ha respinto l’istanza per la revoca del 41 bis ad Alfredo Cospito (23 ottobre 2023)

Informiamo che il 23 ottobre è stato reso noto l’esito dell’udienza del 19 ottobre scorso presso il tribunale di sorveglianza di Roma: l’istanza di revoca anticipata della detenzione in regime di 41 bis per il compagno anarchico Alfredo Cospito è stata respinta. Ricordiamo che Alfredo si trova attualmente recluso nel carcere di Bancali, a Sassari (indirizzo: Alfredo Cospito, C. C. “G. Bacchiddu”, strada provinciale 56 n. 4, Località Bancali, 07100 Sassari).

In quest’occasione, sebbene alcune strutture dell’antiterrorismo (specificatamente, la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo e la Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione) avessero espresso dei pareri favorevoli alla revoca del provvedimento di detenzione in 41 bis, ha prevalso la volontà politica di mantenere il compagno in questo regime detentivo.

Nei giorni scorsi i pareri di tali strutture hanno avuto un certo rilievo tra i mass-media di lingua italiana. A gennaio l’antiterrorismo fornì una prima volta i propri pareri in occasione di un’altra istanza di revoca anticipata, a quel tempo inviata al ministro della giustizia Nordio (oltre alla DNAA, all’epoca si espresse anche il comando del ROS dei carabinieri). Se mesi fa, durante lo sciopero della fame a oltranza, questi pareri favorevoli alla revoca del 41 bis manifestarono la dinamica contradditoria interna alle istituzioni e all’apparato repressivo innescata dal movimento di solidarietà internazionale, attualmente esprimono ancora una volta come la mobilitazione abbia reso evidenti e consolidato delle contraddizioni nell’organismo statale. Questa è la strada su cui continuare, rendendo il costo politico di tali contraddizioni sempre più alto.

Nel respingere le schifose calunnie dei tribunali sul fatto che gli anarchici possano avere dei “capi” o ricevere degli ordini, non ci nascondiamo che sulla pelle del compagno si sta giocando un monito di deterrenza per tutti noi. Quel monito, oggi come ieri, va rispedito al mittente con la massima fermezza. Gli anarchici non hanno bisogno di farsi istigare o orientare da alcun leader prigioniero, ci riuscite benissimo voi.

Solidarietà rivoluzionaria con Alfredo Cospito e con tutti gli anarchici e i rivoluzionari prigionieri

Rovesciamo la guerra dei padroni in guerra contro i padroni

Gino trasferito al carcere di Alessandria

Riceviamo e diffondiamo:

Operazione Scripta Scelera: Gino Vatteroni è stato trasferito dal carcere di Massa a quello di Alessandria (9 ottobre 2023)

Il compagno anarchico Gino Vatteroni è stato trasferito dal carcere di Massa a quello di Alessandria, nella sezione di “Alta Sicurezza 2”, dove sono stati imprigionati in passato molteplici compagni anarchici e dove sono attualmente prigionieri alcuni militanti comunisti rivoluzionari. Il compagno si trova nel circuito di Alta Sicurezza in quanto l’accusa di istigazione a delinquere (art. 414 c. p.) ha la circostanza aggravante della finalità di terrorismo (art. 270 bis 1 c. p.).

Ricordiamo che il compagno – arrestato l’8 agosto per l’operazione Scripta Scelera contro il quindicinale anarchico internazionalista “Bezmotivny” e inizialmente posto agli arresti domiciliari con tutte le restrizioni e il braccialetto elettronico – è stato tradotto in carcere il 4 ottobre per via di un inasprimento della misura cautelare disposto dal GIP a partire da una segnalazione della DIGOS. Nella stessa giornata anche un’altra compagna, Veronica, ha ricevuto la notifica dell’aggravamento della misura cautelare dall’obbligo di dimora con rientro notturno dalle 19:00 alle 07:00 agli arresti domiciliari con tutte le restrizioni e il braccialetto elettronico (si veda l’“Aggiornamento sull’operazione Scripta Scelera: Gino trasferito in carcere a Massa, Veronica agli arresti domiciliari con tutte le restrizioni”).

Pertanto a seguito dell’inasprimento delle misure cautelari, la situazione dei dieci compagni e compagne per cui in due occasioni il PM Manotti aveva richiesto l’arresto in carcere è la seguente: oltre a Gino in carcere ad Alessandria, altri quattro si trovano agli arresti domiciliari con tutte le restrizioni, tre all’obbligo di dimora con rientro notturno dalle 19:00 alle 07:00, uno anch’esso all’obbligo dimora e con rientro notturno dalle 21:00 alle 06:00. Infine, un decimo compagno è indagato senza alcuna restrizione.

Con queste continue provocazioni da parte della DIGOS (ricordiamo che in questi due mesi un compagno era stato posto in carcere per qualche notte in attesa di individuare il domicilio e un altro ha ricevuto un aggravamento della misura in arresti domiciliari per un mese come monito per una presunta violazione delle prescrizioni) la polizia politica è infine riuscita – per la prima volta nella storia recente – a collocare un compagno anarchico in custodia cautelare in carcere, per giunta in AS2, sulla base di un reato oggettivamente di opinione. Il fatto si pone come ennesima escalation repressiva contro la stampa e le idee dell’anarchismo rivoluzionario in Italia, in continuità con l’operazione Sibilla e con il trasferimento di Alfredo Cospito in regime di 41 bis al fine di colpire il contributo che il compagno ha continuato a dare al movimento per dieci anni da dietro le sbarre. Di fronte all’offensiva repressiva dello Stato, non ci faremo intimidire da queste vere e proprie politiche di guerra: perseveriamo nell’agitazione e nella propaganda anarchica.

Solidarietà con Gino e con tutti gli anarchici e i rivoluzionari prigionieri!

Alcuni anarchici indagati e solidali

L’indirizzo del compagno:

Gino Vatteroni
C. R. “S. Michele” – Alessandria
strada statale per Casale 50/A
15121 Alessandria

Riportiamo qui di seguito le coordinate del conto per la cassa di solidarietà con i compagni inquisiti:

Carta postepay numero: 5333 1711 9250 1035
IBAN: IT12R3608105138290233690253
Intestataria: Ilaria Ferrario

ENNESIMA OPERAZIONE REPRESSIVA ANTIANARCHICA A CARRARA

 

Il silenzio e la censura che il potere cerca di imporre sulla solidarietà anarchica non impedisce che questa ci sia (…), in tutto il mondo esiste un sospiro caldo che travalica i confini e può generare la slavina che travolgerà l’esistente.

Da “Bezmotivny” n°1

8 agosto 2023 la repressione bussa alle porte di dieci compagni e compagne in tutta la penisola, del circolo anarchico Goliardo Fiaschi di Carrara e di una tipografia.

I compagni, di cui uno in carcere, 3 agli arresti domiciliari e 5 con obblighi di dimora con rientro notturno, sono accusati di associazione con finalità di terrorismo, istigazione e apologia con finalità di terrorismo e offesa all’onore e al prestigio del Presidente della Repubblica. Tutte queste accuse derivano dal fatto che i coinvolti nell’indagine partecipavano alla stesura di Bezmotivny, quindicinale anarchico arrivato al terzo anno di pubblicazione. I compagni sono accusati di “attività di propaganda sovversiva” attraverso “la redazione, la stampa e la diffusione, sull’intero territorio nazionale, del periodico clandestino denominato Bezmotivny – Senza Motivo“. A differenza di molte altre indagini del passato, in cui si veniva accusati anche di azioni avvenute, in questo caso la direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo si è basata esclusivamente sugli scritti della pubblicazione. In questi tempi di guerra bastano le idee e le parole pericolose per essere inquisiti.

Ai compagni e alle compagne colpiti dalla repressione va tutta la nostra solidarietà, colpevoli di aver dato alle stampe uno strumento che in questi anni ha contribuito alla discussione e al dibattito su varie tematiche anarchiche e internazionaliste. Un periodico che dava voce agli insorti, attraverso la pubblicazione di rivendicazioni delle azioni avvenute in tutto il mondo. Un giornale che ha lasciato spazio agli scritti dei compagni sequestrati dallo stato, come fatto con Alfredo, che dopo mesi di lotta resta rinchiuso in quel regime di tortura che è il 41 bis.

Continueremo sempre a propagandare le idee anarchiche, quelle idee che mirano a distruggere questa società fatta di soprusi, di classi, di oppressi e oppressori, di sfruttati e sfruttatori, quelle idee che attraverso la propaganda vogliono divenire realtà, mettendo a soqquadro l’esistente.

Al fianco dei compagni colpiti da queste ennesime misure repressive

Sempre con Alfredo contro il 41 bis

Morte allo stato e viva l’anarchia

 

Centro di documentazione anarchico l’Arrotino

 

L’indirizzo per scrivere a Gigi:

Luigi Palli

Casa circondariale di La Spezia

Piazza G. Falcone e P. Borsellino n. 1

CAP 19125

La Spezia (SP)

 

Ennesima operazione repressiva antianarchica a Carrara pdf

Corteo per juan a Venezia

Rilasciati/e i compagni e le compagne arrestate a Bologna

Apprendiamo che tutt* i/le compagni/e imprigionati per l’operazione ritrovo sono stati/e scarcerati/e. Le accuse riguardanti il 270bis sono cadute. Per Stefania,Duccio, Elena, Guido, Martina e Ottavia rimane l’obbligo di dimora con rientro notturno.

Solidarietà agli arrestati di bologna

DA BOLOGNA RICOMINCIA IL RITORNO ALLA “NORMALITÀ”?

 

La “Fase 2” vera è propria è cominciata. Finalmente dopo mesi di clausura, controlli, caccia all’untore, infami alle finestre (con accanto il tricolore), ci si può muovere senza più autocertificare niente.

Insomma, per i più ottimisti, siamo ad un passo dal “ritorno alla normalità”!

Ma la vera domanda è: – ma ci torneremo davvero alla normalità preCovid? Perché, oltre al fatto che già quella aveva parecchi aspetti inquietanti, la “normalità” di prima sarà aumentata da droni, controlli, smart-working, app, delatori, guerra fra poveri e tutto il resto, che la gestione dell’emergenza Covid lascerà in eredità.

In questi giorni ne abbiamo avuto il primo assaggio: l’operazione dei ROS di Bologna che ha portato in carcere 7 compagni e compagne, oltre ad altri/e 5 con obbligo di dimora e firme giornaliere. La motivazione degli arresti è la classica, 270 bis, reato associativo schifoso usato da decenni per appioppare anni di galera. L’unica vera differenza, forse proprio dovuta al fatto di vivere nel “Post-Covid”, è l’arroganza del palesare le motivazioni da parte dei ROS con questa dichiarazione: “L’intervento della magistratura e dei Carabinieri assume una strategica valenza preventiva per evitare che in eventuali ulteriori momenti di tensione sociale, scaturibili dalla pandemia per il Coronavirus, possano insediarsi altri momenti di più generale “campagna di lotta antistato” oggetto del programma criminoso di matrice anarchica.”

Leggendo queste parole si evince come alle Forze dell’Ordine non serva più nemmeno nascondersi dietro al dito della democrazia, possono benissimo palesare arresti preventivi, basati sulle idee (cosiddetti reati d’opinione) come in una qualsiasi dittatura. E tutto questo col plauso dei benpensanti cittadini dal cervello svuotato da tanto internet e tv, rinchiusi in casa senza parlare “realmente” con nessuno per mesi.

Certo, queste cose succedevano anche nel Pre-Covid, ma la sfrontatezza del potere è cambiata di molto.

Le motivazioni che portavano a vedere la democrazia come forma di potere non così diversa dalla dittatura, bensì complementare ad essa, sono ancor più sotto gli occhi di tutti. Infatti, dalla democrazia parlamentare alla dittatura dei camici bianchi il passo è stato davvero rapido!

La vera sfida da affrontare, come anarchic* e rivoluzionar*, sarà proprio quella di dover combattere lo stesso schifo di sistema Pre-Covid con tutti i mezzi tecnologici che sono stati sperimentati durante l’emergenza Covid (d’altronde erano anni che venivano scritti manifesti, fatte azioni, contro 5g, tecnologie varie, robotizzazione dell’esistente, droni e controllo). Anche se ce l’eravamo immaginato, forse ai più sembrava pura fantasia. Ora come ora, il fatto che questo sia realtà è sempre più palese: quindi non sarebbe male che per una volta i timori degli sbirri si avverassero!

Il fatto che la notte dopo gli arresti alcune centraline internet a Rovereto siano state danneggiate lasciando senza rete migliaia di persone ci mostra già un punto di partenza: l’attacco!

Tornando ai compagni e alle compagne arrestati/e a Bologna, non possiamo che esprimere la nostra più profonda solidarietà e vicinanza. Riprendendo un motto letto su uno striscione fuori da un tribunale durante un altro processo per associazione sovversiva: “Se sono innocenti hanno tutta la nostra solidarietà, se colpevoli ancora di più”.

Elena, Guido, Zipeppe, Stefi, Nicole, Duccio, Leo, Otta, Angelo, Martino, Tommi ed Emma LIBER* SUBITO!

Fuoco allo Stato e alle carceri!

Per l’anarchia

 

Centro di documentazione anarchico l’”Arrotino”

 

AI CUORI ARDENTI

Scritto collettivo degli inquisiti per l’operazione “Renata”

Venerdì 18 ottobre si è tenuta a Trento la prima udienza del processo per l’operazione Renata – operazione che, nel febbraio 2019, ha portato a decine di perquisizioni e all’arresto di sette nostri compagni e compagne. Quello che segue è uno scritto collettivo che i compagni inquisiti hanno deciso di diffondere a partire dall’inizio del processo.

“L’anarchico non guarda al successo, alla vittoria, alla competizione. Lotta perché è giusto. E in qualsiasi lotta la perdita fa parte della vita. Non cambia idea perché perde e tanto meno rinuncia alla lotta successiva. Il Sistema si autoalimenta per il popolo che non lotta, non perché è invincibile. Il lavoro dell’anarchico è instillare nel popolo la rivolta, non a segmenti, ma continua. Come un’onda che si ritira e poi torna. Mi chiedete se vinceremo. Mi fate la domanda sbagliata.Chiedetemi se lotteremo e vi risponderò di sì”

Luigi Galleani

 

Oggi abbiamo deciso di dire la nostra sull’operazione “Renata”. In altri scritti è stata analizzata l’inchiesta, sia negli aspetti repressivi generali dello Stato, sia riguardo gli strumenti tecnologici, inquisitoriali e giuridici usati per colpire chi ancora osi battersi per qualcosa di diverso e soffi ancora sulle ali della libertà.

Abbiamo deciso di non rivolgerci alla Corte che ci giudicherà, né alla solerzia dei nostri repressori. Non è l’aula di un tribunale il luogo in cui oggi scegliamo di parlare.

Vogliamo parlare in quei luoghi in cui si lotta, dove c’è ancora spirito critico, dovunque ci siano donne ed uomini coscienti che tante cose vanno cambiate ora, che questo stato di cose va rivoluzionato.

Quindi parleremo dei fatti di cui siamo imputati o che sono inseriti nell’inchiesta.

Queste azioni – notturne o diurne, individuali o collettive – si inseriscono in un conflitto che va ben al di là dei fatti specifici o del territorio in cui sono collocate. Esse sono frutto di uno scontro più ampio, quello tra gli sfruttati, gli sfruttatori e chi li difende.

Di queste azioni condividiamo lo spirito, l’etica, il metodo, gli obiettivi, indipendentemente da chi le abbia compiute. Esse parlano da sole, sono comprensibili ai più, indicano una strada – quella della liberazione. Puntano il dito contro chi vive di sfruttamento e guerra, di odio e violenza, auspicano qualcosa di più, qualcosa che metta fine alle peggiori atrocità e barbarie, ma soprattutto mirano a distruggere il muro della rassegnazione, in tempi così poveri di solidarietà umana, di ribellione, di pensiero critico.

Chi in questi anni ha detto e tutt’ora dice che simili azioni non servono a nulla, che il gioco non vale la candela, che nulla cambierà, che l’essere umano ha perso in modo definitivo il senno riducendo la vita ad una costante guerra fratricida, ha smesso di sognare, ha smesso di interrogarsi sui responsabili delle ingiustizie e sulle cause che hanno portato la società ad un livello morale, ambientale e materiale a dir poco inquietante.

Tra le svariate cose raccontate nei faldoni, emerge che in questi anni siamo scesi molte volte in strada con caschi e bastoni contro partiti e movimenti come Lega, Casapound e Sentinelle in piedi. Abbiamo criticato in decine di volantini, manifesti e iniziative di vario tipo le loro responsabilità storiche e le loro politiche reazionarie: gruppi politici e religiosi che promuovono l’odio tra gli sfruttati, che difendono la classe padronale, che alimentano una società basata sul privilegio. Sul razzismo, sul patriarcato e molto altro.

In questi tempi aridi di lotte e di scontro sociale, ci si scandalizza per le pratiche di autodifesa in strada, dimenticando, assieme l passato in cui era patrimonio comune, il buon senso minimo di distinguere la violenza reazionaria da quella proletaria.

Non solo ci si dimentica di quello che polizia, carabinieri, Chiesa e fascisti hanno fatto in questo Paese, ma delle violenze dell’altro ieri di Genova 2001, di Firenze, di Macerata e tante altre ancora.

Visto che il loro ruolo e il loro compito sono sempre gli stessi, abbiamo sempre ritenuto importante che la loro azione non trovasse né il silenzio né la tranquillità nel territorio in cui viviamo.

Ed a proposito della rivolta di Genova 2001, e della vendetta di Stato che continua ad abbattersi sui compagni per quelle giornate, è sconcertante leggere con quale chiarezza un’intelligenza collettiva riuscì all’epoca a prefigurare una serie di scenari: devastazione globalizzata, neoliberismo sfrenato, riscaldamento climatico, politiche anti immigrati che producono nuovi schiavi… un ordine sociale giunto ormai all’implosione. Un altro silenzio che non accettiamo è quello che circonda le morti nelle carceri e nelle caserme. Da quando è stato aperto il carcere di Spini a Trento, molti detenuti si sono suicidati, altri ci hanno provato, altri ancora sono morti per le negligenze mediche o per lo zelo repressivo dei magistrati di sorveglianza.

Abbiamo conosciuto il dolore e la rabbia dei familiari, degli amici, di chi ha perso il proprio figlio nelle mani dello Stato, ma abbiamo purtroppo anche conosciuto anche l’indifferenza e il silenzio dei più, malgrado simili tragedie siano più vicine di quanto si creda.

Uomini e donne che ricoprono coscientemente il ruolo di aguzzini decidono di contribuire a difendere una società fondata sulla paura, sul ricatto, sulla vendetta, sulla violenza e sul pregiudizio.

E noi saremo sempre pronti a denunciarne le responsabilità, a ostacolarne il lavoro, a spingere altri a prendere posizione contro questi assassini in divisa, con il doppiopetto dei burocrati o in camice bianco.

Chi ha cercato di incendiare le auto della polizia locale ha dato un segnale in tal senso.

I poliziotti locali non sono solo quelli che indicano le strade alla bisogna, ma anche quelli che partecipano agli sfratti delle persone che non riescono a pagare l’obolo al padrone di casa, quelli che sparano alle spalle di un ragazzino, come è successo a Trento qualche anno fa, quelli che picchiano delle persone di colore, come è successo a Firenze, che applicano i DASPO, che partecipano alle retate contro chi è senza documenti e compiono tante altre nefandezze.

Le espulsioni, i campi di concentramento-si chiamino CPR o Hotspot- i morti in mezzo al mare, in montagna o lungo i binari di una ferrovia sono lo scenario quotidiano di questo mondo a cui vorrebbero farci abituare.

Per questo sono stati bloccati i treni ad Alta Velocità in solidarietà con chi è congelato su un sentiero di montagna o che è stato risucchiato da un treno merci a qualche chilometro da casa nostra.

Sempre per questo il 7 maggio 2016 al Brennero ci siamo scontrati con la Polizia e abbiamo bloccato ferrovia ed autostrada. “se non passano gli esseri umani, non passano nemmeno le merci”: questo era lo spirito di quella difficile giornata.

Di fronte al ghigno feroce del razzismo di Stato, dovremo scandalizzarci perché qualcuno nell’ottobre del 2018, ha attaccato la sede della Lega ad Ala?

Nel novembre 2016 a Trento e a Rovereto, furono incendiate diverse auto delle Poste Italiane.

Nelle scritte lasciate sui luoghi delle azioni e riportate dai giornali, si faceva riferimento alle responsabilità di P.I. che, tramite la propria controllata Mistral Air, si arricchiva portando nei Paesi di origine donne e uomini privi dei documenti in regola per vivere in Italia.

Senza contare che P.I. investe una parte dei propri introiti nei fruttuosi affari dell’Industria degli armamenti.

Ci chiediamo che differenza ci sia tra i fatti accaduti negli anni Trento e Quaranta e quelli di oggi?

Perché si ricordano le vittime di allora con gli ipocriti mea culpa e nulla sembra scuotere oggi i cuori dei più?

Non passa giorno senza che su giornali, siti, televisioni si legga o si veda questa o quella guerra. Guerre per procura, guerre per interessi geopolitici, guerre per il territorio, di territorio, per il potere.

Guerre che provocano i grandi spostamenti di uomini e donne. A promuovere queste guerre non sono solo gruppi industriali come la FIAT (con l’Iveco) o gli AD di Leonardo Finmeccanica e Fincantieri. Al loro servizio c’è una schiera di tecnici e scienziati, un esercito in camice bianco con i guanti e le mani sterilizzate, che lavora nei laboratori delle nostre città, nelle università a due passi da noi. In nome della scienza e del progresso, si giustifica qualsiasi “scoperta”, senza che da quei luoghi si sollevi un qualche interrogativo di fondo: “a cosa porta tutto ciò?”, “che scenari nuovi apre?”, “a chi serve davvero?”.

Ecco allora che nel democratico e pacifico trentino, l’Università collabora con l’esercito italiano, aiuta le istituzioni israeliane a meglio pianificare l’oppressione del popolo palestinese, fa entrare nei propri Consigli e nelle proprie aule le principali aziende di armi. Di fronte a questa palese connivenza, ci si sorprende che ignoti abbiano incendiato, nell’aprile del 2017, il laboratorio Cryptolab all’interno della Facoltà di Matematica e Fisica di Povo? Quando sugli stessi siti universitari si illustra la collaborazione con l’esercito?

E che dire dell’incendio di mezzi militari, la notte del 27 maggio 2018 all’interno dell’area addestrativa del poligono di Roverè della Luna? Oltre a ruspe e camion sono stati dati alle fiamme tre carrarmati Leopard.

Di produzione tedesca, sono gli stessi carri che Erdogan ha utilizzato e utilizza per schiacciare la resistenza curda. Come dicevano dei manifesti antimilitaristi apparsi in Germania anni fa: “Un mezzo che brucia qui= qualcuno che non muore in qualche guerra”.

Un concetto di una semplicità…disarmante.

Sempre a proposito di antimilitarismo e di internazionalismo, nelle carte dell’inchiesta si parla di sabotaggi ai bancomat dell’Unicredit, banca che, senza contare i suoi investimenti nell’industria bellica, è la principale finanziatrice del regime fascista di Erdogan, che proprio in questi giorni sta mostrando tutta la sua ferocia in Siria e contro il dissenso interno.

E poi si menzionano i sabotaggi ferroviari in occasione dell’Adunata degli Alpini.

Per chi non ha eroi da onorare, ma carneficine da maledire, quei gesti di ostilità contro la sfilata del nazionalismi e del maschilismo gallonato hanno riattivato un minimo di memoria storica: le diserzioni, gli ammutinamenti, le sommosse per il pane, gli scioperi nelle fabbriche, gli spari contro gli ufficiali particolarmente odiati dalla truppa, le rivolte al grido di “guerra alla guerra”, il posizionamento intransigente “contro la guerra, contro la pace, per la rivoluzione sociale”, oggi sempre più attuale.

Noi sosteniamo i portuali di Genova, di Le Havre e Marsiglia che si sono opposti al carico-scarico di materiale bellico destinato all’esercito saudita che da anni massacra la popolazione yemenita con bombe fabbricate, fino all’altro giorno, in Italia.

Ma non ci accontentiamo. Vorremmo che gli operai disertassero le fabbriche di armi, quelle navali e quelle chimiche, che gli scienziati uscissero dai loro laboratori. Vorremmo le università in sciopero, a partire da quelle di Giurisprudenza, dove si giustificano le cosiddette “missioni di pace” (peace-keeping, le chiamano), vorremmo che i ferrovieri bloccassero i treni come all’epoca della prima guerra del Golfo.

Tramite le guerre gli industriali si arricchiscono sfruttando la mano d’opera operaia e comprandone la coscienza per un tozzo di pane. Ed ancora a meno se la comprano le agenzie interinali, sfruttando vecchie e nuove leggi sul lavoro e mandando la gente a lavorare a progetti devastanti come il TAP in Puglia. Per questo non ci stupisce che qualcuno, a Rovereto, abbia danneggiato un’agenzia Randstadt, ricordando che la guerra di classe non è finita.

Un’altra azione di cui siamo accusati è l’incendio dei ripetitori sul monte Finonchio, sopra Rovereto, nel giugno 2017. Da sempre denunciamo, e non siamo certo i soli, il danno ambientale provocato dalle decine di migliaia di queste torri sparse in tutti i territori, le cui onde causano tumori e disturbi vari agli uomini e agli animali (e molto peggio sarà con il 5G). Oltre a ciò, simili tecnologie hanno diminuito le capacità di concentrazione e di apprendimento, condizionato l’acquisto di merci, creato bisogni indotti, rimbambito i cervelli. Senza contare l’aspetto più importante: il controllo sociale. Ormai le inchieste poliziesche sono basate quasi esclusivamente su intercettazioni video e audio da montare e smontare a piacimento. La repressione ed il controllo si potenziano con ogni scoperta tecnologica, la quale assicura a sua volta affari alle aziende che collaborano con gli Stati. Questa tendenza non è politica, bensì strutturale, dal momento che l’apparato accresce sé stesso e con il pretesto giustifica qualsiasi cosa.

Ci viene contestato il fatto di “programmare la rivoluzione” tramite le riviste, gli appelli, gli scritti. Ebbene sì. Non ci abbattiamo di fronte alle avversità di questa epoca. Ogni sussulto di ribellione, ogni sommossa che tende alla libertà, ogni moto rivoluzionario che riecheggia più o meno vicino a noi è motivo di energie rinnovatrici per la propaganda e per l’azione, al fine di sollecitare la società attorno a noi ad un cambiamento radicale. Per questo negli anni abbiamo occupato vari edifici non solo per avere degli spazi in cui organizzarci e creare dibattito, ma anche per provare a mettere in pratica la vita che vorremmo, con i nostri pregi e difetti. Forse siamo sognatori, romantici, illusi, ma siamo anche determinati, solidali, internazionalisti, concreti.

Se ci sarà da alzare la voce davanti alle porte di un supermercato o ai cancelli di una fabbrica o di un cantiere contro le nefandezze dei padroni e dello Stato, noi ci saremo: se ci sarà da bloccare progetti come il TAV, salendo su una trivella o danneggiandola, ci saremo: saremo là dove si alzerà la voce della rivolta.

Si contesta ad alcuni di noi, infine, di aver fabbricato dei documenti falsi. La falsificazione di documenti è uno strumento di cui tutti i movimenti di lotta, anarchici e non solo, si sono dotati per eludere la repressione statale, e a cui sono ricorsi e ricorrono gli sfruttati ed i poveri per viaggiare in cerca di un posto migliore dove vivere. Soprattutto in un mondo in cui, se non hai in tasca il pezzo di carta giusto, muori in mare o in un lager libico. Oppure finisci in uno dei tanti campi di concentramento sparsi per la civile e democratica Europa.

Gli inquirenti sostengono che un gruppo di affinità è difficile “da infiltrare e da demoralizzare”. Che chi mira al potere non riesca a capire chi mira alla libertà ci sembra un’ottima cosa.

Non saranno condanne e carcere a farci alzare bandiera bianca. Continueremo a volere quel cambiamento radicale intravisto durante la Comune di Parigi del 1871, che tanto fece tremare lo Stato e i padroni. Sappiamo che questo cambiamento radicale non avverrà dal nulla, per qualche determinismo della storia. Sarà il frutto della volontà, spinta verso gli scopi più alti della convivenza umana, verso l’anarchia, “un modo di vita individuale e sociale da realizzare per il maggior bene di tutti” (Malatesta).

Concetto tanto semplice quanto lontano dalla situazione in cui ci troviamo.

Ogni azione che oggi va ad indicare i diretti responsabili dello sfruttamento umano e ambientale è utile perché fa capire che l’oppressione è più vicina di quanto crediamo.

Ma starà alla volontà di ciascuno di noi abbattere le paure a cui ci vorrebbero sottoposti e svegliarci dalle comodità materiali con cui ci uccidono lo spirito, i pensieri, le idee.

Noi non costringiamo nessuno a fare quello che non vuole, ma non permetteremo neanche che a nome nostro o con la nostra collaborazione si continui a distruggere e ammazzare.

Non resteremo inermi e impassibili. Non ci faremo né zittire né trascinare nel fango della barbarie.

In questi anni e mesi abbiamo visto decine di compagne e compagni finire in galera, alcuni condannati a lunghe pene. Invitiamo a unire le forze e dare le risposte necessarie a questi attacchi contro il nostro movimento.

Agendo si faranno inevitabilmente degli errori. Si tratta di temprare corpi e menti per una rinnovata fiducia nelle idee e nelle pratiche di libertà.

Vogliono che cadiamo nella rassegnazione e nello smarrimento. Hanno già fallito.

Visto che agli inquisitori piace tanto giocare con le parole (degli altri) non meno che con i fatti, “Renata” pare l’ennesimo inciampo lessicale, perché ogni cuore ardente è pronto a “rinascere” per ogni torto subito.

Trento, 18 ottobre 2019

Stecco, Agnese, Rupert, Sasha, Poza, Nico e Giulio

 

Ad oggi, 24/10/19, Sasha, Agnese, Rupert, Poza, Nico e Giulio sono agli arresti domiciliari.

Stecco invece si trova nel carcere di Ferrara. Per scrivergli:

Luca Dolce – CC di Ferrara – Via Arginone, 327 – 44122 Ferrara (FE)