Questo scritto sarà polemico, certo, ma vorrei non sembrasse uno sguardo giudicante, né tantomeno la sentenza di chi ha la verità in tasca. E per quanto una parte di ostilità vi sarà inevitabilmente contenuta, vorrei che questa ostilità, questo conflitto tra idee e pratiche diverse, venissero colti, per una volta, come una critica costruttiva e, in un certo senso, fraterna. Questo è lo scritto di un anarchico, che rifiuta lo stato, la religione, l’autorità e tutto il resto: se siete arrivati a leggere fino a qua so di non aver bisogno di spiegarmi meglio. Ed è uno scritto, questo, rivolto a chi, da democratico convinto, si ritiene erede della lunga tradizione della cosiddetta sinistra italiana, o almeno di buona parte di essa. Vorrei quindi che queste poche righe venissero lette come una lettera a dei lontani cugini, con cui, per fondati ed insanabili contrasti, da tanto tempo non si hanno contatti. Con cui tuttavia, che piaccia o no, un legame di parentela lo si condivide inevitabilmente. Siete gli eredi di Mazzini e di Garibaldi, dei repubblicani e dei socialisti che a fine ‘800 e inizio ‘900 scendevano in piazza, lottavano e morivano insieme agli anarchici. Avete combattuto con ogni mezzo contro la monarchia sabauda e lo stato borghese, avete sobillato sommosse e compiuto attentati. Poi avete ottenuto il potere e le cose sono cambiate ma, in fondo, credo, avete ancora quel sangue nelle vene.

Quindi, dopo questa sfacciata captatio benevolentiae, veniamo all’argomento della lettera: il virus. O meglio, ciò che sul piano politico è successo in queste settimane a causa dell’epidemia. Ed essendo anarchico ho in mente un piano politico piuttosto ampio: il personale è politico, il politico è personale. In questo mese vi ho visti cambiare, ho visto succedere cose che non pensavo potessero accadere così in fretta. Certo, erano tendenze che il movimento anarchico paventava da anni, ma non credevo che si potessero sviluppare così in fretta.

Ho visto la vostra ideale democrazia parlamentare, la “costituzione più avanzata del mondo”, evaporare da un giorno all’altro come se niente fosse. Nel giro di pochi giorni si è azzerato il dibattito parlamentare, i partiti sono spariti dalla vista e qualunque pluralità di visioni è venuta meno. Ci siamo svegliati invece con l’ennesimo uomo al comando, con decreti ministeriali a determinare ogni aspetto della vostra vita e con un’unica visione della realtà sbattuta in faccia a tutti da qualunque mezzo d’informazione. Non sto insinuando che sia una dittatura, non lo è; ma è qualcosa che, secondo me, per la vostra democrazia  è pericoloso.

Ho visto la polizia, i carabinieri, l’esercito, l’intero apparato repressivo dello stato, iniziare a chiedere conto di qualunque spostamento, di qualunque uscita di casa. Droni, elicotteri, telecamere, gli stessi cellulari e, non ultimo, il vicino di casa spione hanno creato qualcosa che non è “1984” di Orwell ma un po’ lo ricorda. Non hanno imposto il coprifuoco, sarebbe sembrato troppo oppressivo, ma in realtà ci hanno chiuso in casa fino a data da destinarsi. Insomma, da un giorno all’altro abbiamo perso il diritto di muovervi liberamente sul territorio nazionale. Di più, sono stati proibiti gli assembramenti e qualunque incontro tra estranei: in sostanza, è stato spezzato il diritto di associazione. Un tempo, quando venivate a costruire barricate insieme agli anarchici, qualcosa di molto simile a tutto ciò lo si chiamava stato d’assedio. A Milano, l’ultima volta, è finita con le cannonate del feroce monarchico Bava, vi ricordate? Stavolta no, c’è un gran silenzio.

Ho visto il tessuto sociale delle città sfaldarsi, perdere pezzi da ogni lato. Perché, mentre correvate tutti a disegnare arcobaleni e appendere tricolori, le persone hanno iniziato a guardarsi in tralice, a controllare se il vicino usciva per una corsa o andava una volta di troppo a fare la spesa. Il clima di sospetto è cresciuto, alimentato da comprensibili paure, e ha avvolti tutti come una nebbia fetida. L’intolleranza, l’intransigenza, il desiderio di disciplina imposta con le buone o con le cattive ha pervaso quel poco di rapporti interpersonali, per lo più telematici, che rimanevano. Ho visto la gente cercare dei capri espiatori, il governo fornirglieli, e tutti insieme sbranarli. Non è stato un bello spettacolo. Tra l’altro, questa fissazione del tricolore di fronte a un’epidemia mondiale la trovo quasi un insulto, sinceramente. C’è stato un tempo in cui siete stati internazionalisti…

Ho visto i costi sociali di questa quarantena, di questo blocco totale, venir completamente messi da parte. “State a casa” ha detto il governo, e tutti hanno ubbidito. Ma, intanto, gli operai al lavoro senza garanzie ci dovevano andare, pazienza. Qualcuno una casa dove stare non l’aveva, pazienza. Qualcuno uno stipendio per mantenersi senza i consueti espedienti non l’aveva, pazienza. Qualcuno i documenti regolari per accedere alle cure mediche non li aveva, pazienza. Qualcuno la solidità psicologica per rimanere in casa non l’aveva, pazienza. Qualunque situazione di fragilità sociale, economica, personale è stata ignorata. Se escludiamo una mezza marcia indietro di fronte alla reazione decisa dei sindacati, comunque poi aggirata, ci siamo trovati con una gestione che definire classista è poco. In fondo, riassumendo tutte queste “sviste”, si perviene ad una facile conclusione: le relazioni sociali, finanche gli esseri umani sono sacrificabili; l’economia, il profitto invece no. Non c’è poi tanto da stupirsi, questa è sempre stata la realtà del capitalismo. C’è stato un tempo in cui avete fondato leghe, cooperative, associazioni di mutuo soccorso…

Ho visto persone stimatissime spegnere il cervello, decidere coscientemente di non mettere in discussione nulla e affidarsi in tutto e per tutto alle decisioni governative. Ho visto chi tentava di esprimere un pur parziale dissenso venir accusato di follia, tradimento, disumanità, egoismo. Tra l’altro, l’egoismo non è una brutta cosa: è il riconoscere la propria importanza e il proprio intangibile diritto  Ho visto persone fare a gara nel mortificarsi, nell’annullare la propria vita sociale e ogni contatto umano, quasi che soffrire di più, sempre di più, potesse far passare più in fretta l’epidemia. Retaggio cattolico? L’odore stantio in effetti è quello. E infatti nel frattempo le uniche manifestazioni pubbliche delle vostre autorità governative sono state benedizioni di statue, processioni con spade miracolose e preghiere in diretta televisiva o streaming. E dire che, un tempo, avete assaltato le mura di Roma con il colpo in canna, per togliere a un papa l’influenza che non doveva avere.

Insomma, ho visto i fatti prendere una piega che non mi è piaciuta, come credo che non piaccia a molti di voi, e troppo poche voci alzarsi per protestare. Mi direte di farmi gli affari miei, che tanto per chi non crede nello stato poco cambia questa ulteriore involuzione. E invece no: primo perché se nessuno vive la propria libertà, diventa difficile farlo anche per chi lo desidera. Secondo perché, ricordando come siete stati un tempo, dispiace sinceramente vedervi in questa situazione, che molto probabilmente non vi piace e, almeno istintivamente, vi puzza anche un po’. E infine mi concedo due commenti pedanti da anarchico. Primo, le situazioni di emergenza fanno quasi sempre emergere le contraddizioni di un sistema politico ed economico. Anche questa epidemia ha in un certo senso costretto lo stato a mostrare il proprio volto cupo e repressivo, spogliandosi di vari orpelli piacevoli alla vista e riducendosi alla propria essenza: repressione e difesa del sistema economico a scapito dei ceti sociali più disagiati. Secondo, tutto questo è stato accettato perché temporaneo, ma siamo sicuri che, una volta finita l’emergenza, lo stato ripiegherà in buon ordine tornando allo status quo ante? O piuttosto non ne approfitterà per lasciare qualche silenzioso e poco appariscente tentacolo stretto attorno al collo di tutti noi? Chissà, magari una app che registri gli spostamenti di tutti, o il bisogno di un bel permesso per muoversi da una città all’altra…

Concludo, scusandomi se è sembrato che mi sia assiso in cattedra e augurandomi di incontrarvi presto sulle strade, magari pronti a evitare una pattuglia, liberi e a testa alta, come un tempo siete stati.

Con affetto, per l’anarchia.