Vince è libero

Dopo svariate udienze, sedi processuali, sentenze favorevoli e contrarie, parere della corte di giustizia europea ecc ecc

Vince è finalmente libero in Francia.

Infatti dopo la sentenza di venerdì scorso che di fatto rifiutava l’accoglimento del Mandato di Arresto Europeo, la procura francese ha deciso di non ricorrere in cassazione.

Da anni passando per le vie di Lecco come per quelle di tutta la penisola leggiamo spesso e volentieri sui muri la scritta “Vince libero”.

Da oggi potremo sorridendo metterci una “è” a divider le due parole.

Genova brucia ancora

Per l’anarchia

Dichiarazione di Alfredo Cospito

Con amore e con rabbia pubblichiamo queste parole di Alfredo pronunciate in videoconferenza dal carcere di Opera.
La forza che esprimono è più forte di ogni potere, di ogni gabbia, di ogni Stato.

Dichiarazione-di-Alfredo-Cospito-alludienza-di-riesame-per-le-misure-cautelari-delloperazione-Sibilla

Dichiarazione di Alfredo Cospito all’udienza di riesame per le misure cautelari dell’operazione Sibilla

Innanzitutto volevo iniziare con una citazione del mio istigatore:

“Il nostro ordinamento ha introdotto quella figura di isolamento mortuario che è il 41 bis, e che per certi aspetti è più incivile anche di questa mutilazione farmacologica. Questo per dire che il nostro sistema non brilla di civiltà”
Carlo Nordio, 28 marzo 2019

Questo è stato il mio istigatore della lotta che ho iniziato. Non avrei mai pensato di arrivare fino a questo punto, ho sempre trovato ridicolo il melodramma, amo di più la commedia, ma così è andata. In fin dei conti siamo o non siamo il paese del melodramma? E quindi mi tocca finire in bellezza. Però se ci penso qualcosa di ironico c’è: sono l’unico coglione che muore nel progredito Occidente democratico poiché gli viene impedito di leggere e studiare quello che vuole, giornali anarchici, libri anarchici, riviste storiche e scientifiche, senza trascurare gli amati fumetti.

Ammetterete che la cosa è paradossale e anche un po’ buffa, non riesco a vivere in questo modo, proprio non ce la faccio, spero che chi mi ama lo capisca. Non ce la faccio ad arrendermi a questa non-vita, è più forte di me, forse perché sono un testone anarchico abruzzese. Non sono certo un martire, i martiri mi fanno un certo ribrezzo. Sì, sono un terrorista, ho sparato ad un uomo e ho rivendicato con orgoglio quel gesto anche se, lasciatemelo dire, la definizione fa un po’ ridere in bocca a rappresentanti di Stati che hanno sulla coscienza guerre e milioni di morti e che a volte, come uno dei nostri ministri, si arricchisce col commercio di armi. Ma che vogliamo farci, così va il mondo, almeno finché l’anarchia non trionferà e il vero socialismo, quello antiautoritario e antistatalista, vedrà finalmente la luce. Campa cavallo direte voi e anch’io, per adesso gli unici spiragli di luce che vedo sono i gesti di ribellione dei miei fratelli e sorelle rivoluzionari per il mondo e non sono certo poca cosa, perché sono fatti con cuore, passione e coraggio, per quanto sparuti e sconclusionati possano sembrare.

Detto questo, volevo spiegare il senso del mio accanimento contro il regime del 41 bis. Qualche giurista credo l’abbia capito, ma in pochissimi hanno compreso: il 41 bis è una metastasi che rischia e di fatto sta minando il vostro cosiddetto stato di diritto, un cancro che in una democrazia un tantino più totalitaria – e con il governo della Meloni ci siamo quasi – potrà essere usato per reprimere, zittire col terrore qualunque dissidenza politica, qualunque sorta di ipotetico estremismo. Il tribunale che decide la condanna alla mordacchia medievale del 41 bis è del tutto simile a quello speciale fascista, le dinamiche sono le stesse: io potrò uscire da questo girone dantesco solo se rinnegherò il mio credo politico, il mio anarchismo, solo se mi venderò qualche compagno o compagna. Si inizia sempre dagli zingari, dai comunisti, dagli antagonisti, teppisti, sovversivi e poi le sinistre più o meno rivoluzionarie.

Come potevo non oppormi a tutto questo, certo in maniera disperata, e per un anarchico, proprio perché non abbiamo un’organizzazione, la parola data è tutto, per questo andrò avanti fino alla fine. Per concludere, come disse se ricordo bene l’anarchico Henry prima che gli tagliassero la testa: quando lo spettacolo non mi aggrada avrò pure diritto ad abbandonarlo, uscendo e sbattendo rumorosamente la porta. Questo farò nei prossimi giorni, spero con dignità e serenità, per quanto possibile.

Un forte abbraccio a Domenico che al 41 bis di Sassari ha iniziato lo sciopero della fame con la speranza di poter riabbracciare i propri figli e i propri cari, nella mia forte speranza che altri dannati al 41 bis spezzino la rassegnazione e si uniscano alla lotta contro questo regime che fa della costituzione e del cosiddetto – per quanto vale – stato di diritto carta straccia.

Abolizione del regime del 41 bis.
Abolizione dell’ergastolo ostativo.
Solidarietà a tutti i prigionieri anarchici, comunisti e rivoluzionari nel mondo.

Grazie fratelli e sorelle per tutto quello che avete fatto, vi amo e perdonate questa mia illogica caparbietà. Mai piegato, sempre per l’anarchia.

Viva la vita, abbasso la morte.

Alfredo Cospito
[In videoconferenza dal carcere di Opera, 14 marzo 2023]

Nota: Il compagno, citando l’attuale ministro della giustizia Nordio, fa riferimento all’articolo “Castrazione chimica, ritorno al Medioevo”, pubblicato ne “Il Messaggero”, 28 marzo 2019 (attualmente consultabile a questi link: https://www.ilmessaggero.it/editoriali/carlo_nordio/editoriali_carlo_nordio-4390216.html & https://web.archive.org/web/20230323152621/https://www.ilmessaggero.it/editoriali/carlo_nordio/editoriali_carlo_nordio-4390216.html). Inoltre, il riferimento al ministro che si arricchisce con il traffico d’armi riguarda sicuramente l’attuale ministro della difesa Crosetto, presidente di una importante lobby dell’industria bellica al momento della nomina. Infine, Alfredo cita a memoria il compagno Émile Henry (1872–1894), le cui parole esatte sono le seguenti: “Inoltre, ho ben il diritto di uscire dal teatro quando la recita mi diventa odiosa, ed anche di sbattere la porta uscendo, pur col rischio di turbare la tranquillità di quelli che ne sono soddisfatti” (traduzione italiana in Émile Henry, Colpo su colpo, Edizioni Anarchismo, Trieste, 2013, pag. 141; attualmente consultabile anche a questo link: https://www.edizionianarchismo.net/library/emile-henry-colpo-su-colpo).

Dichiarazione di Alfredo Cospito all’udienza di riesame per le misure cautelari dell’operazione Sibilla

Venerdì 24 marzo a Milano

martedì 21 marzo all’arrotino

Corteo per juan a Venezia

LETTERA DI ALFREDO DATATA GENNAIO 2023 USCITA SOLO A MARZO SUI SITI DI REGIME

La mia lotta contro il 41 bis è una lotta individuale da anarchico, non faccio e non ricevo ricatti. Semplicemente non posso vivere in un regime disumano come quello del 41 bis, dove non posso leggere liberamente quello che voglio, libri, giornali, periodici anarchici, riviste d’arte e scientifiche e di letteratura e storia. L’unica possibilità che ho di uscire è quella di rinnegare la mia anarchia e vendermi qualcuno da mettere al posto mio. Un regime dove non posso avere alcun contatto umano, dove non posso più vedere o accarezzare un filo d’erba o abbracciare una persona cara. Un regime dove le foto dei tuoi genitori vengono sequestrate. Seppellito vivo in una tomba, in un luogo di morte. Porterò avanti la mia lotta fino alle estreme conseguenze, non per un “ricatto” ma perché questa non è vita.

Se l’obiettivo dello stato italiano è quello di farmi “dissociare” dalle azioni degli anarchici fuori, sappia che io ricatti non ne subisco, da buon anarchico credo che ognuno è responsabile delle proprie azioni, e da appartenente alla corrente antiorganizzatrice non mi sono mai “associato” ad alcuno e quindi non posso “dissociarmi” da alcuno, l’affinità è un’altra cosa. Un anarchico-a coerente non prende le distanze da altri anarchici-e per opportunismo o convenienza.

Ho sempre rivendicato con orgoglio le mie azioni (anche nei tribunali per questo mi ritrovo qui) e mai criticato quelle degli altri compagni-e, tanto meno quindi in una situazione come quella in cui mi trovo.

Il più grande insulto per un anarchico-a è quello di essere accusato di dare o ricevere ordini.

Quando ero al regime di alta sorveglianza avevo comunque la censura, e non ho mai spedito “pizzini” ma articoli per giornali e riviste anarchiche.

E soprattutto ero libero di ricevere libri e riviste e scrivere libri, leggere quello che volevo, insomma mi era permesso di evolvere, vivere.

Oggi sono pronto a morire per far conoscere al mondo cosa è veramente il 41 bis, 750 persone lo subiscono senza fiatare, mostrificati di continuo dai massmedia.

Ora tocca a me, mi avete prima mostrificato come il terrorista sanguinario, poi mi avete santificato come l’anarchico martire che si sacrifica per gli altri, adesso mostrificato di nuovo come capo della terribile “spectra”. Quando tutto sarà finito, non ho dubbi, portato sugli altari del martirio. Grazie no, non ci sto, ai vostri sporchi giochetti politici non mi presto.

In realtà il vero problema dello stato italiano è quello che non si venga a sapere tutti i diritti umani che vengono violati in questo regime di 41 bis, in nome di una “sicurezza” per la quale sacrificare tutto. Be! Ci dovevate pensare prima di mettere un anarchico qui dentro. Il perché qualcuno mi abbia usato come “polpetta avvelenata” in questo regime. Era abbastanza difficile non prevedere quali sarebbero state le mie reazioni davanti a questa “non vita”.

Uno stato quello italiano degno rappresentante di un’ipocrisia di un occidente che dà continue lezioni di “moralità” al resto del mondo. Il 41 bis ha dato lezioni repressive ben accolte da stati “democratici” come quello turco (i compagni-e curdi ne sanno qualcosa) e quello polacco.

Sono convinto che la mia morte porrà un intoppo a questo regime e che i 750 che lo subiscono da decenni possano vivere una vita degna di essere vissuta, qualunque cosa abbiano fatto.

Amo la vita, sono un uomo felice non vorrei scambiare la mia vita con quella di un altro.

E proprio perché la amo non posso accettare questa non vita senza speranza.

Grazie compagni-e del vostro amore

Sempre per l’anarchia

Mai piegato

Alfredo Cospiro

CORTEO A TORINO

RESPINTO IL RICORSO DI ALFREDO

Il 24 febbraio la cassazione ha deciso di condannare a morte Alfredo rigettando il suo ricorso contro la sua detenzione in 41 bis.

Da questo momento Alfredo non assumerà più integratori ed altro, come già preannunciato. Attenderà la morte pur di non continuare a sopravvivere in quella “tomba per vivi” del 41 bis.

Una cosa certa è che tenteremo fino all’ultimo di salvare la sua vita.

Un’altra cosa ancor più certa è che continueremo imperterriti a percorrere la lotta per l’anarchia, quella lotta che Alfredo ha generosamente e coraggiosamente portato avanti e porterà avanti fino all’ultimo respiro.

Non dimenticandoci che uno dei passi fondamentali sarà l’abbattimento di ogni forma di carcere, il 41 bis in primis.

con amore e rabbia

per l’anarchia

 

 

 

 

 

Volantino distribuito a Lione

Il 24 febbraio è andata in scena a Lione l’ennesima puntata della vicenda di Vince. Davanti al tribunale oltre un centinaio di persone ha portato la propria solidarietà a Vince.

Questo processo di appello vedrà la sentenza il 24 marzo.

In attesa alleghiamo il volantino distribuito nell’occasione.

volantino 24 febbraio a Lione

LE POSSIBILITÀ DELLA LOTTA E L’ESSENZA POLITICA DELLA LEGGE

DUE LOTTE, UNA STESSA DATA E ALTRE ANALOGIE

È indubbio che solo la lotta apre delle possibilità. Anche solo di resistenza.

Per il 24 di febbraio sono attese le decisioni di due corti di giustizia, entrambe molto rilevanti.

La prima è attesa in Francia, dove, dopo tre anni di battaglie giudiziarie, la Corte di Appello di Lione dovrà decidere se consegnare Vincenzo Vecchi all’Italia dove deve scontare 12 anni per il reato di “devastazione e saccheggio” in base al Regio Decreto del 19 ottobre 1930, n. 1398.

La seconda è attesa in Italia, dove la Corte di Cassazione dovrà decidere se Alfredo Cospito, in sciopero della fame da oltre 4 mesi, debba rimanere segregato nel regime carcerario speciale applicato con l’art. 41 bis dell’Ordinamento Penitenziario, introdotto in via emergenziale nel 1992 e mai più abolito.

La rilevanza di queste decisioni è dimostrata anche dalla difficoltà del quadro istituzionale ad assumersi la responsabilità ultima delle scelte in gioco.

In Francia si tratta di prendere la decisione definitiva attorno ad un caso di rilievo internazionale che chiama in causa il funzionamento della giustizia europea.

In effetti la  Corte di Lione  potrà confermare i precedenti pronunciamenti che avevano bocciato come irricevibile la richiesta di estradare  in Italia  Vincenzo Vecchi per un reato inesistente in Francia, o al contrario potrà decidere di applicare il principio del “mutuo riconoscimento”[1], allineandosi alle indicazioni ricevute recentemente dalla Corte di Giustizia europea.

In questo caso la Francia  accetterebbe di approvare sul proprio territorio un mandato d’arresto fondato su un articolo di legge di forte connotazione fascista, la “devastazione e saccheggio”, senza paragoni nel codice penale francese e probabilmente in quello di nessuno degli altri paesi europei, ideato nel 1930 da Alfredo Rocco, Ministro della Giustizia del governo Mussolini, che la considerava orgogliosamente legge “fascistissima” e “contraria ai diritti dell’uomo”, poi riesumata dalle procure italiane a cavallo degli anni duemila per colpire il pericolo pubblico del momento: il black block.

Accordare questa “estradizione” significherebbe avvallare a livello europeo la minaccia di leggi di origine fascista che non dovrebbero trovare approvazione automatica fuori dai nostri confini.

Accordare questa “estradizione” significherebbe per la Francia abdicare alla possibilità di rifiutare un mandato d’arresto persecutorio anche quando non è rispettata la “doppia incriminazione”[2].

Tutto questo avrebbe conseguenze per tutti, oltre ad impattare nuovamente sulla vita di Vincenzo, già condizionata da tanti anni di esilio e latitanza, peraltro consegnandola nelle mani di un governo in aperta continuità ideologica con quella tradizione politica autoritaria.

In Italia la decisione è se mantenere Alfredo nel regime di isolamento totale del 41 bis o se trasferirlo in una sezione di Alta Sicurezza.

Per come le cose si sono evolute in questi quasi quattro mesi di sciopero della fame, la decisione è anche più brutale: se la revoca del 41 bis decreterebbe l’immediata fine dello sciopero, la scelta di confermare questo trattamento di tortura comporterebbe al contrario la morte di Alfredo. Questo perché è oramai chiaro a tutti quanto Alfredo sia deciso a proseguire la sua lotta fino all’ultimo respiro.

Le due vicende, oggettivamente molto diverse, presentano tra loro alcune analogie:

  • Entrambe mostrano l’esistenza di norme di carattere eccezionale, nate in contesti emergenziali e quindi di natura temporanea, che assumono nel tempo valenza ordinaria.

Il discorso vale per una legge come la “devastazione e saccheggio” – ideata sotto il fascismo e interiorizzata dalla giurisprudenza successiva – e vale per il 41 bis – ideato dopo le stragi del 1992 e prorogato per trent’anni fino ad incastonarsi nell’ordinamento penitenziario.

Queste “eccezioni creatrici di norma” mettono a nudo l’arbitrarietà del diritto che si autosospende per alcune speciali categorie di persone creando una penalità parallela dove quasi tutto è permesso.

È evidente come questo “diritto penale del nemico” stia scavando fosse punitive che non si sa quanto profonde possano diventare nel tempo e a quante e quali persone possano essere destinate.

  • In entrambi i casi il possibile ha superato il probabile, perché la lotta ha spinto gli eventi più in là di quello che era immaginabile in principio.

Nel caso di Vincenzo, quella che poteva essere solo una brutta grana giudiziaria, da affrontare in solitudine per tramite di una sbrigativa procedura ordinaria, è stata trasformata in una questione di libertà collettiva che oggi inchioda la Francia al bivio e svela gli spietati automatismi falsamente apolitici della giustizia europea.

Nel caso di Alfredo, quando quattro mesi fa iniziava il suo sciopero, in pochi si sarebbero aspettati di ritrovarsi ancora qui dopo oltre 120 giorni, con Alfredo vivo e una lotta ancora aperta, deflagrata nel quadro istituzionale tanto in profondità da fessurare il pozzo più buio dello Stato: quelle sezioni di “carcere duro” dove i “buoni” torturano i ”cattivi” con l’approvazione della propria stessa legge.

  • In entrambi i casi la determinata caparbietà di una lotta di resistenza ha semplificato la realtà, l’ha resa più comprensibile, ha mostrato come dietro ai grovigli della burocrazia tecnico-giuridica si cela sempre una scelta di natura sostanzialmente politica.
  • In entrambi i casi è, infine, chiaro a tutti come la solidarietà non sia una semplice attività di testimonianza, ma un’arma per allargare il ventaglio delle possibilità in campo, per costringere la realtà a manifestarsi, anche nella sua cruda e feroce nudità, senza attenderla passivamente, e senza mai rinunciare alla possibilità di resistere, nonostante le difficoltà e le contraddizioni di ogni battaglia, il cui esito non è mai scontato fino alla fine.

Per questo il 24 di febbraio saremo a Lione per sostenere Vincenzo in questa udienza cruciale.

Lo faremo pensando anche a quanto in Italia si decide in merito allo sciopero di Alfredo.

Lo faremo perché siamo convinti che oggi più di ieri la solidarietà deve essere in grado di superare le nazioni e i confini per essere all’altezza della gravità del momento.

Consideriamo importante dare un segnale di presenza internazionale e internazionalista in questa data, nonostante lo sforzo che comporta.

Invitiamo tutti ad aiutarci a dare forza e concretezza a questo segnale.

Assemblea di sostegno a Vincenzo                                                       www.sosteniamovincenzo.org/

[1]      Il “mutuo riconoscimento” applicato in campo commerciale implica una fiducia reciproca tra stati che permette di deregolamentare la circolazione di merci fabbricate sul territorio europeo in quanto certamente “buone” perché già vagliate dalle autorità nazionali.  Applicato in materia di giustizia comporta che gli Stati europei si impegnano a riconoscere le sentenze emesse negli altri Stati dell’unione come certamente “giuste” permettendo lo scambio in automatico di ricercati e prigionieri come fossero pacchi da smistare.
[2]      La “doppia incriminazione” – cioè la corrispondenza di reato tra codice penale del paese che emette il mandato d’arresto e leggi del paese ospitante –  è una delle pochissime condizioni sopravvissute dai passati accordi in materia di estradizione che ancora oggi – quando non rispettata –  permette la non esecuzione di un mandato d’arresto europeo.

 

LA PATRIA DI BECCARIA? UNA PATRIA DI BECCHINI

LA PATRIA DI BECCARIA?
UNA PATRIA DI BECCHINI

In tanti vogliono il morto ma nessuno si assume la responsabilità di vestire i panni del boia. In compenso sono tanti i becchini pronti a gettar palate di fango per preparare la fossa all’anarchico. Un balletto sguaiato e scomposto attorno ad una forca: “tolleranza zero”, scaricabarile istituzionale, cambi di rotta a seconda dell’audience, lo spettro dell’anarchia che tiene “sotto scacco” il governo, anzi lo Stato, pardon, e poi gli anarchici “stragisti” collusi con i mafiosi stragisti, con la comparsata del PD.

Un teatro mal scritto e mal recitato, un arrabattarsi di “esperti” ignoranti, mentitori professionali e compulsivi, basso giornalismo, ignavia e vigliaccheria che non fa altro che rivelare quella che è la potenzialità di un individuo che intraprende da solo una lotta contro il moloch statale. Un moloch tra l’altro che i suoi stessi costruttori dichiarano ben fragile se bastano scritte sul muro, vetrine rotte e qualche auto bruciata a metterlo in “pericolo”.

Da ogni lato da cui la si guardi, la lotta di un anarchico trovatosi scaraventato in un regime di tortura ha spezzato la narrazione imperante. Nonostante il ridicolo tentativo di accreditarlo come colluso (o, ancor peggio, diretto…) dalla mafia, nonostante il ridicolo tentativo di travisarne atti e parole, sembra che un po’ di senso critico prevalga ed il tentativo di minarne credibilità ed integrità ottiene l’effetto inverso di far emergere la coerenza lineare di antiautoritari e rivoluzionari che difendono e continuano a difendere idee e pratiche, senza farsi distrarre dai fuochi d’artificio della politica mediatica post-moderna. E si uniscono dove la repressione vorrebbe dividere.

Se si sposta l’attenzione dalla cortina fumogena che è stata sollevata, costringendo così a rispondere a castronerie di bassa lega, basterebbe appellarsi ai cardini del pensiero antiautoritario: parlare di una saldatura tra anarchici e mafia (e del suo corollario che l’antagonismo di piazza sostenga i “mafiosi”) è un ossimoro così come lo sarebbe parlare di una saldatura tra anarchici e Stato per chi, casomai qualcuno l’avesse dimenticato, del rifiuto della delega politica ha fatto da sempre un baluardo contro le derive rappresentative ed il mercato che vi è sotteso. Così come opporsi al carcere ed alla tortura non significa santificare quanti vi stanno dentro, spesso manovalanza asservita (e/o applicante pure) le stesse dinamiche politiche ed autoritarie.

L’anarchismo ha la colpa di esser stato spazzato via e maltrattato dalla storiografia ufficiale o fagocitato nel vortice di quell’analfabetismo culturale tipico dell’incultura digitale del 21° secolo, eppure il suo contributo allo sviluppo delle tensioni e del cammino rivoluzionario degli ultimi due secoli è stato fondamentale, benché spesso sovraesposto al rischio di strumentalizzazioni, epurazioni interne o autodissoltosi, incapace di far fruttare i risultati ottenuti a lungo termine.

L’anarchismo ha però il pregio di essere una mala pianta, tenace e difficile da estirpare, che ricaccia più potente se si cerca di eliminarla. È quello che stiamo vivendo. La capacità mercuriale di unirsi e dividersi, la fluidità e l’imprevedibilità hanno fatto sì che ci sia stata la capacità di sollevare una delle questioni più spinose, censurate e travisate: carcere e regimi di tortura.

Tanto ci sarebbe da discuterne, nell’immediato e in prospettiva. Ora c’è un uomo da sostenere, fino in fondo, visto che sulla sua pelle stanno giocando in troppi, senza ritegno.

Anna
05/02/2023